lunedì 12 marzo 2012

Ha senso toccare o togliere l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori?

Abolire o demolire l’Articolo 18 dello statuto dei lavoratori perché non permette il licenziamento ed il rilancio dell’economia è il continuo mantra che sentiamo da sempre, come la sospensione della democrazia perché è l’Europa che c’è lo chiede. Ma quanti di noi conoscono effettivamente cosa recita tanto incriminato articolo? Cosa lo rende così odioso agli occhi di chi ci governa e di chi ci deve assumere?

Mi sono fatto un giretto su Wikipedia per conoscere e comprendere questo Art. 18 dello statuto dei lavoratori, che secondo Monti, Napolitano, Berlusconi, Veltroni, Marcegaglia, Cisl, Uil, parte della Cgil e chi più ne ha più ne metta non permette il licenziamento individuale e collettivo e soprattutto non fa arrivare capitali ed investimenti dall'estero. Ora non sono un giuslavorista, ma ho la pretesa ed anche la presunzione di aver imparato a leggere! E non mi pare che ci siano tutti quei cavilli o cavalli (nel senso dell'animale) che impediscano il licenziamento individuale e/o collettivo ove è giusto! Anzi tutt'altro.

Giocare sull'Articolo 18 a questo punto è solo demagogia bella e buona per evitare di ammettere l'incapacità di chi ci governa ora e di chi ci ha governato in precedenza (e non parlo solo del o dei governi Berlusconi (che sono stati il male dell'Italia e degli italiani, ma non solo i suoi dobbiamo avere la decenza, soprattutto morale, di ammetterlo), di chi ci tutela (i sindacati) o è meglio dire di chi dovrebbe tutelarci e di chi porta avanti l'economia Nazionale (in senso riduttivo l'Industria e le sue rappresentanze)! Il problema è che tutti giocano sulla nostra pelle, e noi ce li facciamo giocare, tanto siamo assuefatti e presi dalle corbellerie che ci raccontano, politici, giornali, televisioni ecc. E tante volte parteggiamo per l’una o per l’altra parte non per un sano senso conoscitivo e / o di appartenenza ma per un credo spesso e volentieri ideologico o in preda all’emozione del momento! Senza avere il minimo buon gusto di andare a vedere di cosa si tratta e per cosa stiamo parteggiando.

Io, personalmente, sono contro l’attuale Governo dei Professori, come sono stato contro i vari governi Berlusconi, ma non per mera antipatia, ma perché giornalmente mi informo e valuto la situazione del paese che poi volente o nolente va a ricadere sulla mia posizione personale come va a ricadere sulle posizioni personali di tutti (e qui intendo economico, sociali e lavorative di tutti) e delle generazioni future!

Dopo averlo letto ritengo sacrosanto proteggere l’Articolo 18, come ritengo sacrosanto il diritto di poter continuare ad avere il diritto di critica. Da quello che ho visto nel ventennio breve Berlusconiano (contornato dagli altri governi che via via si sono succeduti) e da quello che sto vedendo con l’attuale governo Monti, questo sacrosanto diritto che si chiama anche libertà di parola e di pensiero, qui in Italia va sempre più perdendosi.

Già siamo stati defraudati di tanti tantissimi diritti, ad esempio in Fiat non si ha più il diritto di parola, di scegliersi il sindacato e altro, in Italia che è una repubblica fondata sul lavoro per costituzione c’è un tasso di disoccupazione altissimo, ci hanno tolto il diritto di quiescenza (meglio detto andare in pensione e goderci in pace i nostri ultimi anni) con la scusa (sempre quella) siamo sull’orlo del disastro oppure è l’Europa che ce lo chiede. – A questo punto mi dico: “sull’orlo del disastro ci ha portato chi ci governa, ma le conseguenze al solito le paghiamo noi cittadini e mai loro, visto che hanno il record del mondo in capacità di riciclarsi e stare sempre là, in paesi più seri sarebbero come minimo andati tutti a casa” – Allora visto che sono sempre gli altri a chiedere e noi “Generosamente” a dare, per una volta lottiamo per qualcosa che interessa tutti, la libertà di essere e pensare come ci piace, e non come vogliono che noi pensiamo!

Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

Fonte Wikipedia -

http://it.wikipedia.org/wiki/Articolo_18_dello_Statuto_dei_Lavoratori

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori s'intitola "reintegrazione sul posto di lavoro" e disciplina le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo (perché effettuato senza comunicazione dei motivi, perché ingiustificato o perché discriminatorio) nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (5 se agricole). Inoltre esso si applica anche alle unità produttive che occupano meno di 15 dipendenti (5 nel caso di imprenditore agricolo) se l'azienda occupa nello stesso comune più di 15 dipendenti (5 se agricola) e in ogni caso se l'azienda occupa complessivamente più di 60 dipendenti. Contrariamente a quanto si afferma comunemente, esso non dispone che il licenziamento sia valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo. Tale principio, che era (almeno in parte) già stato riconosciuto dal codice civile italiano (art. 2119) per i contratti a tempo determinato e per i licenziamenti senza preavviso, è sancito dall'art. 1 della legge n. 604/1966 per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. L'articolo 18 dispone invece che, in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro. Descrizione [modifica] "ART. 18. - Reintegrazione nel posto di lavoro. Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo camma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore". Il giudice, qualora accerti l'illegittimità del licenziamento per uno dei motivi indicati nella legge n. 604/1966 (difetto di forma, ingiustificato, discriminatorio), ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Oltre all'ordine di reintegrazione, al lavoratore spetta in ogni caso un risarcimento danni che non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore può scegliere se riassumere il dipendente entro il termine di tre giorni o pagare un risarcimento da 2,5 a 6 mensilità (l'indennità può essere aumentata in base all'anzianità di servizio). Questa norma non è contenuta nell'art. 18, ma nell'art. 8 della legge n. 604/1966. La differenza fra riassunzione e reintegrazione è che, nel primo caso, il dipendente perde l'anzianità di servizio e i diritti acquisiti col precedente contratto (tutela obbligatoria).